Il grosso delle imprese italiane è gestito da una famiglia. E, siccome non poche sono guidate dai nonni, hanno un problema di ricambio generazionale e di competenze – a cominciare da quelle digitali. Al patto, certo, di trovare la propria voglia di fare. Anche se non si è figlio o nipote di qualcuno con un’azienda. Perché queste imprese stanno cominciando a capire i loro errori e ad aprire le porte ai giovani capaci.
Su questa grande opportunità di lavoro siamo andati a sentire un vero esperto (detto non da noi ma da Forbes): l’avvocato Paolo Borrelli, che assiste le imprese da anni e quindi ci sa dire come stanno le cose.
I problemi delle imprese familiari
Per cominciare, la confusione tra l’essere membro della famiglia ed essere competente. Poi, il sistema della “fiducia” – in un Paese nel quale persino per non vedere cestinato il proprio curriculum ci vuole la raccomandazione. Inoltre, il fatto che i figli e i nipoti possono avere altri desideri e non essere interessati a lavorare nell’azienda di famiglia o a dirigerla un domani. Infine, il fatto che nessuno pensa di formarli o che, quando lo fa, tende a imporre il proprio modello. Limitando, così, la creatività e lo spirito innovativo delle giovani generazioni.
Nel frattempo, queste imprese rischiano di non sopravvivere. E sono quelle che crescono di più, anche come occupazione, nonostante le tante difficoltà degli ultimi anni. Un po’ perché molti dei Capi attuali non ci pensano, a preparare la “staffetta” generazionale. Un po’ perché, se uno è esterno alla famiglia proprietaria dell’azienda, candidarsi non viene neanche in mente.
Ma, quando viene in mente, funziona – e alla grande. Come ci spiega Paolo (e come dimostrano anche i dati), Millennials e Gen Z dimostrano un’ottima capacità di far crescere l’azienda. Una cosa che alcune imprese hanno capito, tanto da inserire dei giovani professionisti anche nei loro Consigli di Amministrazione. Con grande successo, dalle performance economiche ai posti di lavoro.
Tra gli under 34 mai nati e quelli tanti andati via dall’Italia, all’appello mancano 3 milioni di giovani. Mentre il nostro, anche come età dei dirigenti d’azienda, è il Paese più “anziano” d’Europa. Il problema c’è ed è urgente.
Cosa fare?
Se si è membri della famiglia proprietaria, andare in azienda a imparare – di cosa si occupa, come e con quali risultati. Altrimenti, aprire una propria attività e farsi le ossa. Le imprese consolidate che vogliono tenere il passo guardano molto alle start-up. A volte, acquisendole per beneficiare del loro know-how. Altre volte, portandole sotto il proprio “ombrello” e aprendo loro, così, l’accesso ai progetti e ai finanziamenti europei.
Se non si è membri della famiglia, o se non si ha la possibilità economica di fare da soli, non scoraggiarsi: se non vogliono chiudere, queste aziende dovranno cominciare a leggerli, i curriculum – e parliamo di più di 8 su 10… Infatti, le imprese familiari che sono andate meglio finora sono proprio quelle che hanno aperto ai giovani, alle donne e alle figure competenti esterne alla famiglia.
In ogni caso, non basarsi sull’eventuale “eredità”: quando in ballo ci sono più persone e più esigenze, le cose potrebbero non andare come immaginiamo. Pertanto, chiedere consiglio a chi queste cose le sa e cominciare a pensare al domani. In poche parole, non sopravvivere: vivere.